INTERVISTE





GERO MANNELLA, un comico surreale all' (vecchia) italiana.




Gero Mannella nasce all’ombra della reggia di Caserta nei raggianti anni '60. Negli anni '70 si sposta al sole.

Grafomane sin dalla più tenera età, nel 1972 usa il pennino per stanare una paio di termiti da una tavola sinottica.Nei primi anni '80 si applica alla scrittura con una macchina da scrivere Olivetti Lettera 32. In realtà l’Olivetti non aveva tutte quelle lettere, anzi mancava anche di alcune vocali, al punto che per esprimerle egli era costretto a fare un giro vizioso di consonanti. Quegli equilibrismi lo accostano all’Oulipo, ai lipogrammi e tautogrammi di Perec, e più in generale all’osteoporosi. 
Attratto dal gioco con le parole, dall'iperbole, dal non-sense, dalla fumisterie, dai cortocircuiti mentali, dagli incendi conseguenti, ma anche dagli estintori a norma, il suo universo narrativo si cinge di nuove parole, quali tranzenueterfeggalenbreuchtielingottenuchmannendorf, da pronunciarsi come fosse un monosillabo.



Prendendosi una veloce pausa dai suoi mondi, ha alzato la testa e ci ha concesso cinque minuti di spasso (e serietà):







JMSZ- Caro Gero, grazie a nome di tutto lo staff di Forint per questa occasione. Ti conosciamo grazie al tuo ultimo lavoro, 'Il Killer Dei Qwerty' (2012), ci puoi raccontare brevemente di questo romanzo?

GERO- Non è un romanzo, sono racconti. Precisamente sono casi investigativi bislacchi condotti da un detective disadattato, che è a disagio in presenza di delitti perché vomita alla vista del sangue, prova a risolvere i casi applicando una non logica (è l’antitesi di Sherlock Holmes), infatti i casi rimangono irrisolti, o si risolvono da soli, o semplicemente non sono dei casi.

J- Il tuo è un tentativo di pubblicazione NUOVA in un mondo letterario italiano VECCHIO. Cosa puoi dirci a riguardo e le tue esperienze editoriali?

G- La mia operazione è coniugare umorismo e letteratura: operazione decisamente controcorrente, tenuto conto che oggidì alla voce “umorismo” in libreria non trovi più Mark Twain, Achille Campanile o Jerome K. Jerome quanto piuttosto la Littizzetto, i comici di Zelig e i barzellettieri, ovvero mere emanazioni della TV, non letteratura. Più che vecchio, parlerei di mondo letterario deteriorato, disgregato, privo di identità.
Le mie esperienze editoriali, intese come approcci agli editori, si riassumono in questa sintesi dialettica:
“Il suo lavoro è interessante, divertente, complimenti. Ma non in linea col mercato. Ha idea dell’umorismo che vende oggi?”
“Sì, la merda”
“Esatto. Caro Mannella, lei dovrebbe abbassare i toni, insomma mettere da parte il letterario e trovare una via di congiunzione con la…”
“Merda?”
“Esatto”.
Detto questo ho ad oggi evitato compromessi, quindi non ho trovato major editoriali, bensì due editori minori: Coniglio per “Non gettate cadaveri dal finestrino”, e Ad Est Dell’Equatore per “Il killer dei qwerty”.



J- Raccontaci appunto della tua esperienza nella tua ultima pubblicazione attraverso il cosiddetto crowdfounding. Ti è sembrata una buona iniziativa?

G- E’ stata una proposta del mio editore. Un piccolo editore che oggi voglia proporre qualcosa controcorrente ammortizzando i rischi della scommessa e tuttavia rifuggendo il famigerato contributo dell’autore (che non avrei mai largito) prova a garantirsi un minimo di copie vendute tramite prenotazione di chi stima l’autore. La piattaforma in questione è Produzioni dal Basso.
La trovo un’opportunità interessante ed etica contro l’omologazione culturale.



J- Raccontaci un po' del tuo curriculum letterario. Quando hai cominciato a scrivere, cosa e a chi ti sei ispirato nelle tue opere?

G- Da lettore sono stato vorace e trasversale, spaziando tra i generi, in particolare la narrativa mitteleuropea, il realismo magico, il surreale, l’umorismo. Da autore ho un’attitudine congenita a scrivere cazzate, non mi riesce a scrivere qualcosa di serio nemmeno dopo un funerale. Perciò ho coltivato in modo saltuario ‘sta cosa non pigliandomi mai sul serio, non pensando di camparci, ma come un demone con cui convivo ed ogni tanto reclama la parola. Le cose più riuscite ho provato ad esibirle con un qualche riscontro (fui finalista al Premio Calvino nel ’97 con un romanzo, mi cimentai anche con la sceneggiatura e fui finalista al Mitreo Film Festival nel 2006, e successivamente al Solinas).
Gli autori che sembra confluiscano nelle mie cose, quello che vedo citati dalla critica, sono Groucho Marx, Achille Campanile, Raymond Queneau, Max Aub, Daniil Charms.


J- Raccontaci su cosa stai lavorando di nuovo.

G- Un romanzo imperniato sullo stesso protagonista dei due libri pubblicati, l’ispettore Liberovici. Si tratta di una reverse engineering di una sceneggiatura di lungometraggio di slapstick comedy che scrissi un paio di anni fa e che circolò con qualche buon riscontro tra produttori di vaglia senza muovere però la macchina produttiva. Il fatto è che se sei misconosciuto hai una minima possibilità di pubblicare un libro, magari con un piccolo editore, ma hai zero possibilità di fare un film.


J- Gero, abbiamo visitato il sito internet e ci è piaciuto un sacco. Abbiamo letto gli articoli pubblicati sulle tue opere. Abbiamo sentito del tuo libro, delle tue iniziative... cosa puoi consigliare ai giovani scrittori alle prime armi che leggeranno questa intervista?

G- Grazie mille per l’apprezzamento. Consiglio la cosa più banale: leggere un sacco, leggere eterogeneo, leggere magari letteratura e non merda, confrontare la propria scrittura con l’autore di riferimento, lavorare sulla singola parola, bandire l’impazienza, innamorarsi della penna, riscrivere all’infinito, avere un dizionario al proprio fianco, andarci a dormire col dizionario. Poi quando si è davvero convinti del proprio lavoro seppellirlo e lasciarlo un anno a decantare. Se dopo un anno non se lo sono divorato le talpe rileggerlo e vedere se ci si ritrova, se si rimane incollati alla pagina.
Se si rimane incollati alla pagina significa che val la pena provarci sul serio, oppure che le talpe ci hanno cagato sopra (la cacca delle talpe è appiccicosa).



J- Esiste speranza per la letteratura e le righe dei testi che tanto amiamo o finiranno tutti raccolti, sintetizzati, confusi, nel freddo ed inutile stato su facebook?

G- La seconda che hai detto. Il narrare credo si stia dissociando dalla parola scritta, ma usa altri media: l’immagine, il suono, il grugnito in primis. Se impareremo a decrescere, a sopprimere impazienza e zapping come modus vivendi, e non ne perderemo memoria, la parola scritta riavrà un ruolo preminente nel trasferire emozioni.



J- Consigliaci un film da vedere. Anzi due. Facciamo tre.

G- “Il ritorno di Cagliostro” di Ciprì e Maresco, “La Comunidad” di De La Iglesia, “Clerks”di Kevin Smith.


J- Ora tocca ai libri.

G- “At Swim Two Birds” di Flann O’Brien, “Mio cigino il mio gastroenterologo” di Mark Leyner, “Quer Pasticciaccio” di C.E. Gadda


J- Ora regalaci una frase d'addio.

G- Dio t’assista. Senza tassametro.



J- Grazie tante Gero, ed in bocca al lupo!

G- E’ stato un piacere. Grazie 1000 a voi.



Visita i lavori di Gero su www.geromannella.com


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